Anche Beppe Bonetto ricorda Nardino Previdi

Beppe Bonetto è stato seduto da una parte e dall’altra della stessa scrivania di Nardino Previdi. E’ stato suo alleato e suo avversario.
Un’amicizia “rigorosamente scandita da un rispettoso “lei” – ricorda Bonetto –  che diventava “tu” solo quando, al termine di un affare che saltava ed è capitato, ci si mandava a quel paese” sorride al telefono il manager piemontese.
Uno dei grandi del pallone in Italia, come Nardino, insieme al quale Bonetto (oggi procuratore fra gli altri di Alberto Giardino), ha vissuto quarant’anni di calcio, di grande calcio, quello da copertina.

“Non mi ricordo esattamente come ho conosciuto Previdi, mi sembra di averlo sempre conosciuto, almeno da quando mi occupo di calcio e cioè da sempre – dice Bonetto – Certo è che nei miei diciotto anni da dirigente al Torino, dalla metà degli anni Sessanta in poi, lui è stato al mio fianco. Non esisteva un vero e proprio direttore sportivo in quella società, uno che reclutasse talenti e li portasse in granata. Quel ruolo era coperto di fatto da Nardino Previdi. Uno dei miei soci di oggi, Claudio Sclosa, è stato ad esempio “osservato” da Previdi e portato al Toro: Claudio si ricorda di avere firmato una sorta di foglio di carta nella macchina di Nardino, una specie di contratto ma che contratto in verità non era, e l’affare era fatto. Nardino era così, concreto e senza fronzoli, un grande talento ed anche un osso duro. Comunque, sempre un uomo vero”.
Beppe Bonetto ci offre anche una primizia, una sorta di scoop: quello di Roma, infatti, non fu il solo scudetto vinto da Nardino. Prima ne vinse uno anche con il Toro, quello del 1976: “Quella squadra per molti aspetti fu anche sua, perché ci portò  giocatori e ne perché seguì personalmente l’andamento. Quello fu il Torino più forte degli ultimi tre decenni – ricorda Bonetto – che battè di un soffio la Juve di Bettega e Causio, di Zoff e Scirea. Così, quando la Lega ci chiese l’elenco di chi premiare per la conquista dello Scudetto 1975/76, noi inserimmo accanto ai nomi di presidente, tecnici e giocatori anche quello di Nardino. Il quale, al pari di tutti noi, ricevette la medaglia con il tricolore, quella da campione d’Italia. Poi lui fu fenomenale a vincere il “suo” campionato a Roma nell’83, ma anche in quel ’76 ebbe la sua parte, che gli è stata riconosciuta”.
Bonetto riconosce soprattutto grandi meriti al Nardino “minore”: “Tutti se lo ricordano alla Roma, alla Fiorentina, come consulente di Napoli e, appunto, del Torino o più tardi anche della Juve. Ma il vero Nardino era quello della Reggiana, di Brescia, del Verona. Era quello capace di allestire squadre importanti con poco denaro, di scoprire talenti di provincia e giocare campionati di prima fascia. Sul lavoro non guardava in faccia a nessuno, affrontava tutti, dal Milan all’Inter con lo stesso atteggiamento sicuro di quando gli capitava magari di trattare con le squadre di serie C. Una volta mi fregò pure: si dimenticò, ma sono sicuro che lo fece apposta – dice Bonetto – di inserire sul contratto di Michele Padovano delle  clausole legate ai premi. Glielo perdonai. Ma era fatto così. Pensi che trattando il passaggio di un giocatore che percepiva oltre 500 milioni di lire, uno di prima fascia, mi disse: “Bene, i soldi li ha già presi. Qui si dovrà
accontentare di cento milioni, dato che mi pare si sia già arricchito, no?”.

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